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Un programma e un partito

Articolo pubblicato sul sito nazionale di Sinistra democratica

18/11/2008

“Non so se un partito, sicuramente un partire…” questa la suggestiva immagine che Nichi Vendola lasciò agli Stati Generali dell’8 dicembre 2007, alla Fiera di Roma parlando dell’Arcobaleno, morto prematuramente perché poco sviluppato negli organi vitali.

Dopo la cocente sconfitta dell’aprile del 2008 a questo brutto anatroccolo non si offrì nemmeno la possibilità di un’incubatrice. Le quattro macchine che lo tenevano in vita furono immediatamente staccate, facendo a gara a chi la staccava prima. Anche in quella tragedia qualcosa di buono c’era: quattro forze, o debolezze, avevano aperto uno spiraglio di dialogo.  Ma immediatamente si ritornò al bieco settarismo, ai vecchi rancori, alla guerra fredda.

Ad appena sei mesi dall’insediamento del governo delle destre, l’Italia sta rotolando in un declivio culturale in cui il richiamo alla “mignottocrazia” rischia, nel paese dei dongiovanni, di falsare il problema.

Il ministro Brunetta socialista, nel senso di PSI, non pentito, nel suo richiamo alle preferenze politiche dei fannulloni e al loro sindacato di riferimento (che volutamente dimentica, fra l’altro, che era il CAF a gestire, nella quasi totalità dei casi, USL, banche, scuole, comuni, province, regioni, ministeri, teatri, Federcalcio, CONI e via discorrendo) può dare l’impressione di esprimere pensieri frutto di un cervello sofferente. Ma così non è. Affermazioni del genere, per quanto i più potrebbero anche pensarle ma si guarderebbero bene dal dirle, contengono messaggi semplici che hanno, è vero,  basi scientifiche nulle, ma hanno un forte credito nel senso comune. Vero è che, invece,  l’ipertrofia del settore pubblico italiano ha alimentato e alimenta  il consenso elettorale, allo stesso modo come quel segreto di Pulcinella delle pensioni fasulle o come la benzina agricola che finiva nelle BMW e non nelle motozappe.

Con il cadavere del partito repubblicano americano ancora in casa, il presidente del consiglio italiano dopo “abbronzatissima”, si è prodotto in un’altra performance durante la conferenza stampa dalla Turchia. In maniera molto rozza, con un  lessico sconosciuto nel mondo  diplomatico,  ha detto che la Russia ha ragione ad arrabbiarsi  perché è stata provocata dagli Stati Uniti. Ovviamente lui conta su un fatto che gli italiani non colleghino il fatto che, se di provocazioni si è trattato, queste sono state poste in essere da quello che lui ha sempre definito suo amico e di cui, comunque, è stato sempre il fido servitore. Lui quando parla si rivolge agli  italiani e basta, perché a lui non interessa un fico secco dei rapporti internazionali, a lui interessano le leggi ad personam, le sue aziende, per questo lui dice le cose che l’italiano capisce e su quelle cose fonda il suo consenso.

Allora,  che fare ?

Un partito o un partire? Davvero l’alternativa non può essere proprio questa, almeno oggi non più, perché il tempo è scaduto. La domanda che mi pongo e che pongo è questa:  la sinistra, oppure le sinistre italiane, al di là di come dovrà chiamarsi (comunista o socialista) la casa nella quale ognuna di queste vuole giungere,  hanno un tratto di strada che possono percorrere insieme? … e quanto è lunga questa strada?  Credo che il tratto di strada che le sinistre potrebbe  percorrere insieme prima di giungere ognuno nella sua terra promessa sia, purtroppo, molto lunga. A volte sembra un gioco dell’oca e oggi, in effetti, abbiamo pagato pegno  perchè siamo tornati molto, ma molto indietro nella storia.

Sicuramente si potrebbe partire dalla questione morale,  per ritrovarsi in quel percorso comune che vede nella costituzione repubblicana, nei suoi valori fondamentali, nella difesa della tripartizione dei poteri dello stato, soprattutto dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura il comun denominatore sul quale cominciare a declinare un programma vero che porti ad un partito vero.

Non credo, infatti, che oggi  un partito della sinistra non abbia nulla da dire sulla scuola pubblica, sulla laicità dello stato, sul lavoro come diritto di ogni cittadino e sulle libertà sindacali, sulla sicurezza sui posti di lavoro, sul diritto alla salute, sul sistema dell’informazione, su un  sistema elettorale che restituisca la libertà di scelta al cittadino. Se l’economia poteva essere fino a qualche tempo fa un alibi formidabile per tenere le strade delle sinistre separate,  il libero mercato, credo che sia ormai chiaro a tutti,  è un sistema teorico, che esiste come termine di paragone sui manuali di economia e  che nella pratica si è tradotto in libero e indiscriminato arbitrio di consumo di risorse naturali, libero e indiscriminato sfruttamento dell’uomo; che una regolamentazione del mercato finanziario sia necessaria, considerato anche il fatto che  gli interventi di salvataggio posti in essere, per cercare di salvare capra e cavoli insieme  al caviale dei banchieri, da insospettabili feudi del liberismo più sfrenato è comunque incommensurabilmente più costosa. Oggi, in economia, stiamo vedendo quello che per moda, per qualunquismo, per opportunismo, e soprattutto per ignoranza e molta malafede, molti non hanno voluto vedere:  la libertà concessa a pochi di giocare al casinò del mercato finanziario globale, comporta effetti sull’economia reale insostenibili che intaccano lo sviluppo stesso. I danni che producono pochi spregiudicati giocatori sono assolutamente non paragonabili ai danni prodotti da tutti  “fannulloni” della P.A. o a tutte le ore di sciopero proclamate dai sindacati comunisti etc, etc, etc…

Crediamo che  le sinistre riunite in un partito di cose da fare ne avrebbero tante, prima di farsi i dispetti con  nomi e simboli. Senza immaginarsi i cosacchi a San Pietro, costruire un partito della sinistra che abbia chiaro il luogo in cui  collocarsi senza “ma anche”  di sorta, sia urgente non già o non solo che perché “la sini­stra” è quanto  di più moderno esista nell’elaborazione del pensiero politico, ma perché è una necessità per un paese che vuole crescere economicamente  e svilupparsi culturalmente, che voglia fare un passo in avanti sulla conquista dei diritti civili.  Ma a livello di dirigenti ho la spiacevole  sensazione che qualcuno giochi  non in attacco, ma  in difesa e sia restio a dire che noi di sinistra che, a viso aperto, combattiamo mafia e camorra,  abbiamo anche un modello serio per garantire la sicurezza, un modello serio per uscire dalla crisi economica che sta strozzando l’Italia e non dà oggi, ma anche quando le  vacche erano grasse, perché l’economia ita­liana è un prato che non è mai fiorito. Forse è bene ricordare che  il mondo, prima che si sviluppasse il pensiero di sinistra,  era com­posto da semplici società tribali e feudali. La sinistra quando vuole gestire l’esistente diventa un ferro vecchio, sorpas­sata, superata e non è più sinistra: la sinistra nella storia è sempre stata progresso. Serve un partito che pre­senti una soluzione per i problemi dei lavoratori, delle madri, dei padri, degli studenti di oggi  e non una aggregazione che discuta di come si chiamerà la società di domani.

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