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Questione morale: dall'indecenza alla trasparenza

Anche stavolta il tempo è stato galantuomo, purtroppo!

20/01/2009

Il pessimismo della ragione aveva fatto vedere giusto a quel gruppo di persone che il 2 giugno del 2005 iniziò la campagna elettorale delle elezioni comunali di Alliste con la pubblicazione di un Manifesto politico-programmatico di Unione Democratica. Fra i firmatari del Manifesto c'erano le forze sane e non compromesse dei partiti dell'ex centro-sinistra (Margherita, Democratici di Sinistra, Rifondazione Comunista). In quel documento furono stese le regole cui avrebbero dovuto attenersi gli eletti nel consiglio comunale, avendo constatato i punti deboli dell'assetto istituzionale nato dopo il 1994:

1) una legge elettorale tranchant: tutto a chi ha un voto in più, niente a chi ha un voto in meno;

2) abolizione del sistema dei controlli interni ed esterni al comune;

3) allargamento del numero delle cariche retribuite (assessori-presidenti del consiglio)

4)poteri assoluti al sindaco da un lato, consiglio comunale  senza vere competenze dall'altro e con ruolo subalterno rispetto a giunta e dirigenti;

5) riduzione del segretario comunale a semplice scrivano del sindaco.

Oggi ci si accorge che le istituzioni sono affette da corruzione diffusa, malattia letale e infettiva i cui veicoli sono stati la legge elettorale e la raffica delle cosiddette leggi fatte da Bassanini, ovvero delle mani libere.

Unione Democratica, come si può leggere nel Manifesto,pose al centro del suo programma elettorale la questione morale come pilastro fondamentale della vita democratica e l'assenza di conflitti di interessi nell'esercizio del proprio ufficio di rappresentante del Popolo. I primi dodici articoli della Costituzione erano il programma elettorale di UD. L'allora segretario provinciale dei DS della Federazione di Lecce  accolse con freddezza il documento e l'esperimento in atto ad Alliste. In piena campagna elettorale, infatti, fummo oggetto di una sventagliata di iniziative da parte della stessa federazione a dir poco sbalorditive (con un articolo sul giornale, poi ritrattato, ma che aveva fatto già il suo effetto, fummo di fatto delegittimati; durante un nostro comizio esponenti della lista di centro-destra, attualmente al governo cittadino, distribuivano un fax destinato a loro proveniente dal Collegio di Garanzia -forse garanzia per la loro lista- in cui si delegittimava la presa di posizione dell'allora segretario cittadino dei DS che aveva sospeso dal partito, a termini di statuto,  quanti si erano candidati o appoggiavano ufficialmente altre liste concorrenti).

Forse il Manifesto di Unione Democratica era troppo per un paese come quello di Alliste e per una provincia, come quella di Lecce, in cui, nel corso della stessa tornata elettorale, da un lato ci fu un plebiscito per D'Alema e al Comune un analogo plebiscito per un sindaco di centro-destra, che intervistato confuse Mantovano con D'Alema in un lapsus di verità: insomma un bell'esempio di convergenze parallele o di divergenze incrociate!

Ma nonostante lo sforzo prodotto dai candidati di Unione Democratica di stringere un patto solenne  di chiarezza e trasparenza con i cittadini di Alliste e Felline, l'elettorato ci relegò al terzo posto su quattro liste. L'ultima lista fu quella incredibile voluta istericamente dall'ex sindaco -defenestrato dalla sua stessa maggioranza anzitempo ed espulsa dai DS, ma che comunque raggiunse il suo risultato di causare la sconfitta di UD, tant'è vero ciò che le cronache di quei giorni raccontano che all'indomani delle elezioni si presentò sul Comune e disse: "E' come se avessi vinto io").

La prima tangentopoli fu figlia dello strapotere dei partiti che avevano esautorato le istituzioni. Così qualche politico di seconda fila (Mariotto Segni) pensò di cavalcare l'onda del qualunquismo. Si arrivò all'abolizione della preferenza multipla e all'abolizione del proporzionale, il resto è cronaca (mattarellum e porcellum). Queste improvvide iniziative hanno portato, in caso di disaccordo con la maggioranza del partito, non alle dimissioni, o al massimo alla creazione di una corrente interna, ma al "one-man party". Da qui la degenerazione totale e su scala industriale del sistema. La seconda e terza repubblica (l'elemento distintivo delle tre repubbliche sta nella tipologia della corruzione) ha creato il decentramento dei centri di potere e corruzione. Il sottogoverno della prima repubblica ha fatto un decisivo passo in avanti ed è diventato governo, mentre i cavalli di razza, che prima erano posti in prima linea e rappresentavano il lato buono, colto, raffinato dei partiti, scomparirono. Berlusconi, imprenditore traffichino, immortalato in tanti film di Jerry Calà, amico e finanziatore di Craxi, la cui ignoranza e non solo politica è sconfinata, dovette fare il grande salto: dagli spalti al terreno di gioco.

Oggi se non si è sguaiati, cafoncelli e un pochino telegenici e pronti soprattutto a stringere patti con chiunque si è fuorigioco. In definitiva è stata la vittoria postuma di Craxi, che qualcuno, compreso Veltroni, vorrebbero santo subito.

Così, per esempio, quando  sulle delibere del Comune di Alliste, si legge di incarichi, prebende, contributi di pubblico denaro dati ad amici, compari, parenti, fratelli, suoceri di fratelli, nipoti, soci non ufficiali, ma evidentemente ufficiosi, di studi di esercenti le cosiddette professioni liberali,  non c'è alcun fremito di ribellione, nessun sussulto di indignazione, nessun cenno di protesta. Nella mentalità della gente è ormai normale che chi fa politica la faccia proprio per questo. Se poi fra questi c'è qualcuno che pone al centro del suo programma elettorale la questione morale è candidato a perdere. Si ragiona in questo modo: se questo non fa favori ai suoi parenti, io non ho nessuna speranza di mettere sul piatto della bilancia la mia forza elettorale per farmi sistemare qualche famigliare, ottenere una concessione edilizia: cioè se questo non va lì per farsi i fatti suoi è sicuro che io non potrò farmi i fatti miei.

A questo hanno ridotto la politica. Ma se nel passato questa era l'accusa al sistema di potere ordito dalla DC, mentre dall'altro lato c'era un Berlinguer che aveva visto nitidi i segni della dissoluzione, oggi l'imperativo è vincere in ogni caso e, si sa, pecunia non olet e nemmeno i voti.

Oggi Sinistra Democratica solleva giustamente la questione morale, non più frutto delle deviazioni del potere, ma frutto della balzana idea che l'ostacolo alla governabilità erano il sistema dei controlli politici e tecnici sugli atti amministrativi. La deriva verso il malaffare, che ha condotto al collasso delle istituzioni non solo nel versante politico, ma anche con drammatici e vasti risvolti sul sistema economico dell'intera nazione, è nelle leggi che oggi regolano gli enti locali anche i più piccoli.  Un'opera pubblica che finita male è un obiettivo voluto e perseguito, perché solo così scorre denaro. Viceversa se l'opera pubblica va a buon fine non ci sono incarichi legali, non ci sono atti di transazione, laddove le perizie di stima sui lavori svolti non sono controllati da nessuno: solo  così sottobanco  scorrono mazzette verso quella che dovrebbe essere la controparte che tutela l'interesse pubblico.

Se è vero che la storia alla fine "dà il torto e la ragione", è vero pure che nel frattempo il territorio è stato irrimediabilmente distrutto dai palazzinari, i raccomandati hanno occupato immeritatamente i posti di lavoro, la ricchezza si è accentrata in mani di faccendieri. E' così vengono riprodotte le cellule staminali del malcostume e delle corruttele, che, custodite in laboratorio, rimangono in attesa di essere innestate su politici compiacenti.

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