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Alliste
Quarant'anni
fa, il 16 gennaio 1969 Jan Palach, studente universitario di venti
anni, si dava fuoco per protestare contro l'invasione sovietica della
Cecoslovacchia.
Tra il 1972 e il 1976 ad Alliste operò il Circolo Culturale Giovanile "Jan Palach"
14.01.2009
Quando il telegiornale del 16 gennaio 1969 diede la notizia
che un giovane di vent’anni, Jan Palach, si era dato fuoco in Piazza San
Venceslao a Praga, versandosi addosso una tanica di benzina, avevo quasi 12
anni.
Che cosa aveva spinto quel ragazzo che aveva solo otto anni
più di me a fare questo definitivo gesto di protesta? Alexander Dubček,
presidente della Cecoslovacchia, aveva compreso che non poteva darsi socialismo
senza liberta, L’Unione Sovietica, che su questo punto la pensava diversamente,
mandò i carri armati a normalizzare la situazione e spedì Dubček a fare l’operaio
in una fabbrica lontano da Praga.
Jan Palach pensò di dare una lezione di coraggio a quanti si
arresero di fronte alla prepotenza e si trasformò in una torcia umana. Morì
bruciato come gli eretici: il socialismo doveva essere la via di liberazione
dell’uomo, non quella dell’oppressione.
Quanto avesse ragione Dubček e Jan Palach, lo si è capito
molto tempo dopo: solo seguendo la strada tracciata Dubček l’Est non avrebbe
prestato materiale prelibato agli avvoltoi del capitalismo. Nel 1969 non
c’erano trasmissioni televisive di “talkshokkezze”
infarcite di politici e le notizie rimanevano più impresse nella mente.
Nel 1972, un gruppo di ragazzi, ed io fra loro, fondammo un circolo culturale e,
per rimarcare la nostra indipendenza e la volontà di ricerca di una nostra
strada, lo intitolammo a Jan Palach. Alliste era, ed è ancora per la verità, un
paesino alla periferia dell’Europa a
cinquanta chilometri da Lecce. Il “Jan Palach” non aveva nulla da spartire con
partiti e chiese, ma faceva politica. Vari furono i tentativi di altre
organizzazioni di “normalizzarci”, ma probabilmente nel nostro inconscio il
nome che avevamo scelto ci aveva caratterizzati come eretici renitenti alla
normalizzazione.
Il Circolo Culturale “Jan Palach” era diretto da cinque o
sei ragazzi tutti rigorosamente minorenni che già, in piena epoca “beatles”,
aveva iniziato ad interessarsi con un certo successo al recupero delle
tradizioni popolari del Salento (oggi
diventato vero e proprio business); formava gruppi di studio dove ci si
confrontava su temi come aborto e divorzio e rendicontava questi lavori su un
giornalino rigorosamente ciclostilato; faceva arrabbiare il potere quando nei
cineforum che organizzava proiettava film del tipo “Il giorno della civetta”
che diede la stura ad una lite furibonda alla fine del film in sede di
dibattito a proposito della scena in cui il mafioso entrava nella sezione della
Democrazia Cristiana.
Jan Palach aveva aperto una voragine nelle certezze di un
piccolo e bigotto paesino.
La vecchia TV di Stato, che all’epoca non propinava il
“grande fratello”, ci diede la notizia della terribile morte di quello studente
universitario, che per noi diventò il nostro fratello grande che ci trasformò
da bambini in giovani in un solo giorno.
Per anni ho cercato di trovare qualcosa su quel giovane,
anche internet era avaro di informazioni, ciò perché quello che aveva capito
qualche ragazzino di un piccolo paese del sud non era stato compreso da qualche
grande. Oggi vedo che c’è addirittura un sito (www.perricordarejanpalach.eu):
però giù le mani da Jan Palach. In questa
epoca di stomachevole revisionismo è
facile appropriarsi di chi si è dato fuoco per non essere proprietà di nessuno.
Non so se all’epoca noi fummo il primo o l’unico Circolo
Culturale dedicato a “Jan Palach, comunque, se altri ce ne furono, il nostro fu fra i
primi”: non mi interessa il “record”, ma chi faceva parte di quel circolo può
essere contento del fatto che quarant’anni prima qualcuno in un paesino del
profondo sud aveva capito ciò che altri e più importanti personaggi hanno
capito quarant’anni dopo. Scusate se è poco!
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