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Il crisma dell’arroganza

di Massimo R. Naviaso

8/12/2010

Un paesino qualunque del Sud; potrebbe essere nel palermitano, nel napoletano, nel casertano, nella Locride, nel basso Salento, non ha importanza;  giorno di Cresima; non è una domenica qualunque. Viene il Vescovo, ci sono tanti padrini, tante madrine, tanti figliocci. Tutti vestiti a festa.

I  bambini, i cresimandi, scelgono il padrino o assecondano la volontà  dei genitori, oppure un caro amico di famiglia o un parente simpatico, magari il medico del paese.

Succede così che, proprio in queste occasioni, in chiesa si incontrano persone che in genere non la frequentano. Si  riconoscono subito perché non sanno muoversi, sono impacciati e, per non sbagliare, seguono con molta concentrazione e irreprensibilità lo svolgersi della funzione, pronti a reagire a qualsiasi segnale che possa significare “ora devi fare questo, ora devi fare quello”. 

Un volto nuovo nella chiesa di un paese non sfugge. Richiama subito l’attenzione degli habituè e, anche se involontariamente, l’occhio di questi ricade sulla “pecorella smarrita” che, qualsiasi ne sia il motivo, è ritornato all’ovile.

Il Parroco, in queste occasioni, più volte rammenta la spiritualità dell’evento, che nulla ha a che fare con defilé o passerelle. Tuttavia questa è sempre un’occasione per cedere ad un po’ di mondanità. 

Insomma, è un evento i cui attori vengono passati al setaccio, non certo per motivi religiosi, da alcune personaggi particolarmente interessati, questi sì assidui frequentatori perché educati ai valori immanenti “dio-patria-famiglia”, da madri perennemente vestite di un nero penitenziale, a significare lo stato di un lutto permanente. Dagli anni cinquanta, piena guerra fredda, lo sfottò nei paesini si concentra sul “non assiduo frequentatore”, generalmente definito comunista, padre o padrino che sia del cresimando.

Così, finita la messa, il “non frequentatore assiduo” riflette su quanto accaduto. Ripensa alle cose appena ascoltate:  “In fin dei conti, dice a se stesso, se con questo figlioccio riuscirò a stabilire un dialogo, potrò insegnarli quello che so: il valore dell’onestà; il valore della rettitudine morale; il valore dello studio. Insomma, se non proprio tutti, almeno tre-quattro comandamenti sarei in grado di insegnarglieli: non rubare; non dire falsa testimonianza; non ammazzare; non desiderare la roba degli altri”. Non di più. La profonda convinzione del “non frequentatore assiduo” che lo stato deve essere laico, lo induce a pensare che se una persona rispetta almeno queste poche regole potrà diventare un uomo e non un “quaquaraquà”.

Ma, mentre sta  uscendo dalla chiesa con questi pensieri per la testa,  col figlioccio che ha ancora la fronte unta del Crisma Sacro dello Spirito Santo,  incontra uno di questi osservatori,  che gli chiede: “Hai cresimato?”  

“Si”, risponde il “non frequentatore assiduo”.

E il primo, sghignazzando: “Ah si? Ma alle elezioni del prossimo maggio ti battezzeremo noi!”

“Ite missa est…”

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