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Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica

Riscrivere la costituzione? Facile come disegnare mutande!

3/1/2010

Un messaggio ecumenico, quello del capo dello stato di fine anno. Giusto porre l’accento sulla crisi economica, che forse sembra più dura perché è quella in atto. Tuttavia, a memoria di persona che è nata nel dopoguerra, dopo l’unica espansione della ricostruzione (anni 60), non è che il capitalismo italiano abbia mai dato segnali di eccessiva vita, assistito sempre dalla cassa integrazione,  dove sono finiti i contributi versati all’INPS dei lavoratori. Infatti, c’è da ricordare il periodo dell’austerity, che adesso è stato riconvertito in giornate ecologiche, quando l’Italia, per ottenere un prestito dalla Germania, fu costretta a dare in pegno l’oro. Correva l’anno 1976, l’Italia ancora racimolava valuta pregiata a seguito delle rimesse emigranti e poteva contare sul jolly della svalutazione, condannando alla fame le zone sottosviluppate, falcidiando i salari e addossandosi un debito pubblico di enormi dimensioni, a causa degli alti tassi di interesse sui titoli di stato, che finivano per arricchire le sacche improduttive di tutto il mondo.

I “capitalisti” del nord-est, come quelli del nord-avest, finita la pacchia della svalutazione, hanno cominciato a chiudere i battenti, qualcuno fra i più furbi ha delocalizzato nelle zone più affamate del mondo, così si fa presto a dire imprenditori.

Questione meridionale, questione femminile, questione giovanile sono un polpettone che va sempre bene prima di un sostanzioso pranzo di fine anno, ma che sono lungi dall’essere problemi che mai la classe politica vorrà affrontare, fin quando la classe politica meridionale sarà selezionata da aggregati mafiosi e para-mafiosi e ne rappresenterà gli interessi in parlamento; fin quando non finiranno in galera gli “imprenditori” che fanno firmare lettere di licenziamento in bianco alle donne in caso dovessero rimanere incinta, anche perché è invalsa l’usanza dei politici, di destra e di sinistra, di andare a chiedere voti dentro le fabbriche: è dai tempi di Berlinguer che fuori dalle fabbriche non ci va più nessuno. Sulla questione giovanile la sincerità di qualsiasi affermazione finisce quando ci si ostina a tenere operante  la legge 30 e si continua a pensare all’allungamento dell’età pensionabile.

Questione fiscale. Il pagare tutti per pagare meno, si è tradotta in un pagare moltissimo di meno a tutti… coloro che hanno voglia di scudare i capitali sottratti alle denuncie fiscali e anche di provenienza illecita. L’annunciata proroga, visto il “successo” del precedente scudo, è un invito a delinquere bello e buono e i lavoratori dipendenti avrebbe il sacrosanto diritto di chiedere l’abolizione del sostituto d’imposta, per avere anche loro la possibilità di scudare: questa sì che sarebbe una riforma. Questione fiscale e depenalizzazione del falso in bilancio non è, caro presidente Napolitano, che siano poi il massimo della coerenza, dato che, per pagare le tasse, da una bilancio bisogna partire,  se falsa è la premessa falsa sarà conclusione. Questo è un sillogismo difficile da smontare. Non solo, ma se  nascondere parte delle vendite, o vendere senza fatturare, non porta più a sanzioni di carattere penale, porta, invece, a dimostrare, con dati (falsi) alla mano, che il fatturato è diminuito, quindi che l’azienda è in crisi, quindi che si può ricorrere ai licenziamenti o, per i “più fortunati”, alla cassa integrazione, purgatorio di futuri disoccupati.  

Ma ciò detto, l’enfasi posta sulla non più procrastinabile necessità di porre mano alla riforma istituzionale e della giustizia ci è sembrata un po’ troppa. Non perché ciò non sia vero, questo è vero da almeno trentacinque anni. Tuttavia, al di là dei paletti posti nel discorso di fine anno da Napolitano,  poiché nella gente comune, non per ignoranza, ma necessità di sintesi del suo pensiero, rimarranno impresse alcune parole, riforma istituzionale e riforma  della giustizia, che è esattamente quello che va predicando, in tutte le occasioni, l’attuale maggioranza parlamentare. I sofismi da giuristi (seconda parte della costituzione piuttosto che i principi fondamentali, il rispetto della forma parlamentare, il rispetto degli organi di garanzia e la necessità democratica di tenerli politicamente irresponsabili) sono cose che potranno essere comprese da tutti solo quando non ci saranno più e quando non ci saranno più sarà già troppo  tardi.

I discorsi, possibilmente, è meglio ancorarli alla contingenza, e calibrarli sulla lunghezza d’onda delle orecchie che sentono solo quello che vogliono sentire.  Al di là dell’episodio della statuetta del duomo di Milano, non si può non considerare di essere passati dal “Partito dell’Amore” di Moana Pozzi al “Partito dell’Amore… a Pagamento” (anche se per interposta persona, quindi nella veste di utilizzatore finale). Non si può non considerare che, se è vero che in passato,  qualche politico nostrano alle conferenze internazionali, così come i fannulloni,  disegnava casette o faceva le barchette,  disegnare mutandine da donna non ci sembra più da fannulloni, ma, se non si tratta di uno stilista,  ci sembra da pervertiti.

Valeva, invece,  la pena mettere in chiaro almeno due cose che, anche senza essere troppo acculturato, ognuno avrebbe capito benissimo. In primo luogo, il rispetto della libertà di espressione, fondamento della democrazia; che è legittimo per i giornali criticare gli organi politici, per i comici farci ridere sopra, non è sopportabile, invece, che in parlamento vengano fatti dei nomi di giornalisti da mandare al rogo. In secondo luogo, la necessità di restituire a questo paese una legge elettorale degna di essere definita tale e che si raccordi con la costituzione che, se ci si dice convinti che l’attuale sistema parlamentare non può essere messo in discussione, non può essere né il passato  “mattarellum” né l’attuale “porcellum”. Questo se non si vuole incorrere proprio nel  pericolo che la costituzione  voleva scongiurare: la deriva plebiscitaria e autoritaria. Non a caso, infatti, gli attacchi  ai magistrati e agli organi di garanzia sono iniziati quando a qualcuno, al quale oggi si vorrebbero intitolare strade e parchi, voleva sterzare verso il presidenzialismo, ma sono diventati  intollerabili da quando i due recenti sistemi elettorali che si sono succeduti in questi anni hanno sconvolto, nei fatti, la repubblica parlamentare. Non è un caso se oggi ci troviamo di fronte un invasato che si dice eletto dal popolo e, come dicono i suoi onorevoli avvocati, si ritiene il “primus super pares”.

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