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Costituzione Evoluzione dello stato moderno verso la forma dello stato sociale [Luigi Crespino: dalla Tesi di Laurea in Diritto Pubblico: "La Corte Costituzionale e i diritti sociali" A.A. 1980/81. Relatore Chiarissimo Prof. Salvatore Cattaneo] 15.12.2017 La Rivoluzione francese "ufficializza" la rottura conseguente alla contraddizione stridente nella quale si erano venute a trovare l'evoluzione del pensiero umano (che già progettava nuovi assetti della struttura economica, sociale e politica) e la forma di stato ancora vigente in quell'epoca. La nuova collocazione che l'uomo doveva assumere nella società originava dalla consapevolezza che, per troppo tempo, il suo stato di schiavitù e, soprattutto, di sudditanza morale era dovuto non tanto o non solo all'esistenza di eserciti al soldo del più potente, ma al suo stato di ignoranza (lo stesso Stalin cadde in questo banale errore quando, con ironia, chiese quante divisioni avesse il Papa, per avere tutto quel potere sulle genti). Da quella data (la Rivoluzione francese, che si assume come la data di nascita dello stato moderno) la tendenza dell'uomo verso una società di uomini liberi ed eguali è stata sempre più prepotente e sempre più dura la lotta contro le forze della reazione. "La dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino" è il primo documento di questa nuova era che fa viaggiare l'umanità con una velocità prima sconosciuta, in meno di due secoli, verso la realizzazione dello "stato sociale", nel quale sarà realizzata la forma più alta di democrazia: la democrazia sociale. Ancora rudimentale nella sua concezione e, soprattutto, nella sua attuazione, il principio d'eguaglianza troverà la sua giusta collocazione, perfino in questa fase, come valore preesistente a qualsiasi codificazione, in quanto lo stesso costituente francese del XVIII secolo, proprio per questa ragione, opterà per la sua collocazione, nella summenzionata "dichiarazione", fuori dal testo costituzionale, come premessa, appunto, alla Costituzione. Nel''ambito della concezione moderna dello stato possono distinguersi varie tappe della evoluzione verso la forma dello stato sociale e la discriminazione è soprattutto da rilevare riferendosi "alla diversa estensione conferita alla libertà dei cittadini ed al grado di protezione loro accordata, sia al diverso modo di intendere la eliminazione delle situazioni di privilegio, e la attuazione dell'eguaglianza" [Mortati]. Sotto il primo aspetto si può distinguere una fase "aristocratica" in cui il potere economico e politico è accentrato nelle mani della borghesia. La tutela della libertà, in una prima fase (stato legale), è concepita come delega alle assemblee legislative, espresse dai cittadini attivi, che hanno il potere di manifestare la potestà di imperio, mentre nel passaggio allo "stato di diritto", allo scopo di rendere più efficaci le azioni a tutela della libertà, si dà luogo a rimedi di tipo giurisdizionale, che sono in grado di fermare eventuali azioni illegittime degli organi esecutivi [Bodda]. Tale rimedio può giungere fino al punto di creare un organo di tutela avverso gli atti illegittimi dello stesso legislatore, affermando in tal modo la "pretesa dei cittadini" nei confronti dell'assemblea legiferante allo scopo di "assicurare la sua subordinazione alla Costituzione [Mortati]. In questa fase, definita liberare, contro certe affermazioni che vorrebbero una frattura fra stato e società si realizza, invece, il più alto grado di omogeneità sociale a livello di interessi rappresentati in parlamento. Lo "stato non-interventista" ha ragione di sussistere fintantoché la suddetta omogeneità sociale è realizzata, e questo rappresenta il "terreno neutrale sul quale contingenti divergenze si comporranno senza tante fatiche, ma quel "terreno neutrale" diventa "campo di battaglia" quando il suffragio universale permetterà che diversi, contrastanti ed opposti interessi avranno la possibilità di essere rappresentati nelle assemblee legislative [Villone]. Muove proprio da questa nuova concezione del principio democratico, che non bastano strane, astratte e suggestive enunciazioni di principio a modificare la realtà fatta di laceranti e macroscopiche iniquità, ma accanto al legittimo riconoscimento giuridico dell'eguaglianza ci fosse altrettanto sforzo per giungere alla realizzazione della eguaglianza "sostanziale", e tutto ciò passa attraverso la eliminazione di quei privilegi che, soprattutto per ragioni di carattere, economico-sociale, perpetuano l'esistenza di uno stato "rifiutato" e di abnormi situazioni di disparità sociale, che tanto dannose si rivelano ai fini dello sviluppo di una società equilibrata, per via dell'innescarsi di strani processi di emulazione al fine di sfuggire allo spettro dell'emarginazione dal modello di "società che conta": la casta borghese! Il punto di partenza dello "stato non-interventista" non poteva non essere sbagliato, in quanto errati erano, e sono, i postulati della dottrina economica neo-liberista: il mito che poggia sulla regola che qualsiasi individuo lasciato libero di decidere è in grado di scegliere nel modo più razionale possibile, portava all'assurda conclusione che il libero gioco delle forze di mercato avrebbe determinato l'assetto più razionale possibile tanto nel modo di produrre, quanto nel modo di consumare (assurdità dimostrata dalla "grande depressione" del '929), mentre, in effetti, alimenta profondi processi di frattura sociale ed economica, comportando, di conseguenza, la concentrazione nelle mani di "pochi fortunati" di ingenti ricchezze e quindi dei mezzi di produzione, cioè del potere! Non si contesta, rileva giustamente il Mortati, l'esattezza del presupposto sul quale si basa la dottrina liberista, cioè "l'assoluto pregio della persona umana", ma piuttosto il fatto che, perseverando in quel tipo di visione dei fatti economici, politici, giuridici e sociali, si perviene alla mortificazione più che alla rivalutazione della personalità dell'uomo. Ecco quindi farsi strada un nuovo modo di concepire la collocazione dell'individuo nella società o, meglio ancora, dei gruppi sociali e delle formazioni cui esso dà vita (ignorati o, più precisamente, sottovalutati nell'epoca liberista). Da qui l'esigenza di uno stato che non può più stare alla finestra a guardare, ma, facendo proprie le istanze delle avanguardie culturali, deve diventare artefice e protagonista dell'emancipazione del suo popolo, mirando alla "eliminazione degli ostacoli che la società oppone alla partecipazione del singolo alla vita sociale in condizioni di libertà ed eguaglianza" [Mortati]. Idonei strumenti di critica per abbattere sorpassate ideologie e concezioni dello stato fuor di luogo, sono stati l'associazionismo operaio e l'estensione del diritto di voto, che ha avuto la funzione di far sì che i contrasti e i fermenti esistenti nella società fossero portati nelle sedi istituzionalmente preposte a ricucire e a trovare soluzioni di sintesi affinché fosse la "vera realtà" a determinare le scelte politiche e non più astratti e fantomatici assiomi che il quotidiano aveva, fin da allora, destituito di ogni reale fondamento. Ed è a questo punto che si opera il salto qualitativo verso una concezione dello stato la cui esatta definizione può essere quella di stato "solidarista" o "sociale". Scopo di questo stato è quello di attenuare i conflitti sociali troppo radicali, agendo nell'intimo della struttura sociale, con l'animo di modificare i presupposti di una concezione "hobbesiana" della realtà! Si viaggia così verso l'unica forma di democrazia, quella sociale, anche se quell'aggettivo risulta addirittura superfluo, in quanto le precedenti forme di democrazia altro non erano che dei tentativi verso questa democrazia, per la realizzazione della quale basta superare l'ostracismo non di valide idee ma di fatiscenti ruderi ideologici della storia. L'ulteriore salto in avanti, che deriverà dal travaglio culturale ed anche per la sollecitazione di gravi problemi economici, che il mondo intero vive in quel periodo, sarà proprio il passaggio verso lo "stato interventista" [F. Mauro, Storia economica mondiale, 1790-1970] dove, in sostanza, non si rinnegavano i principi dello stato liberale, ma saranno affinati e corredati da idonee garanzie affinché si potesse giungere alla loro attuazione. Si avrà modo, più avanti, di vedere come vari autori ritengano che l'attuazione dell'eguaglianza e della libertà siano, in certo senso, antitetiche, perché la prima richiede reiterati interventi dello stato nelle questioni economico-sociali, in modo da attuare i principi di giustizia sociale; la seconda, invece, postula proprio l'astensione dello stato da atti che siano per procurare limitazioni alla libertà del cittadino [V.P. Biscaretti di Ruffia]. Ma proprio questo è il problema che ci si trova a risolvere: "la ricerca [di quelle] strutture che valgano a soddisfare (...) esigenze (...) dell'eguaglianza e della libertà, attuando una conciliazione di aspetti, (...) che potrebbero apparire contrastanti fra di loro: il che non può altrimenti operarsi se non con una più intima e più perfezionata inserzione della società nello stato [Mortati]. La definizione dello stato e l'ideologia accolta nella Costituzione italiana sono ricavabili dalla lettura dei primi cinque articoli , nella parte dedicata ai "Principi fondamentali". Anche il Costituente italiano si pose il problema dove collocare questi articoli: come preambolo alla Costituzione, oppure inserirli nel testo costituzionale. Si scelse questa seconda opzione, ma l'attenzione si concentrò sul valore giuridico da attribuire a tali articoli: si può dire che questi rappresentino un vincolo? e se sì, nei confronti di chi deve esplicarsi questa forza condizionante? nei confronti del solo legislatore o è suscettibile di avere altri destinatari? Il problema, a questo punto della trattazione, non sembra presentare eccessive difficoltà, (...) si è sempre negato che queste "idee-forza" del sistema democratico italiano possano assolvere la funzione di semplici enunciazioni di principio (così come qualcuno vorrebbe), ed invece si accoglie l'opinione che vuole che questi articoli abbiano direttamente una loro efficacia normativa, in primo luogo, come obbligo a carico dell'interprete di servirsi dei principi in essi contenuti, al fine di estrapolare dei concetti idonei ad evitare o a superare incertezze e lacune che si riscontrano nell'ordinamento ogniqualvolta che questi principi hanno trovato applicazione in successive disposizioni legislative; in secondo luogo, quei principi, che ancora non hanno trovato norme di attuazione, devono essere sempre tenuti presenti dall'interprete per la possibilità che questi hanno di influenzare la normativa vigente, ed anche perché da queste sorge l'obbligo per il legislatore di attuarli. Se in questa sua attività di attuazione il legislatore non rispetta le direttive contenute nei principi fondamentali è soggetto a censura da parte del giudice della costituzionalità. Dai primi cinque articoli si possono ricavare i principi basilari sui quali la Repubblica italiana è stata fondata, dopo le venture del ventennio, principi che, se analizzati sotto il profilo della mera speculazione giuridica e poi confrontati con la nostra realtà, fanno capire quanto lunga sia la strada da percorrere, e quanti sono stati i cedimenti, le deviazioni che alcuni avventurieri della politica ci hanno fatto, e ci stanno facendo, sopportare. Dei quattro principi che il Mortati individua (il democratico, il personalista, il lavorista, e il pluralista) si ritiene opportuno soffermarsi sul primo (il democratico), in primo luogo perché è talmente importante da essere alla base della stessa forma di governo. "L'Italia è una Repubblica democratica" e, in questa Italia, "la sovranità appartiene al popolo". La sovranità popolare è conseguenza della forma democratica dello stato, e ciò significa che al popolo la Costituzione riconosce il potere di influire sulle scelte più qualificanti che stato-autorità possa prendere, nel senso che quel potere ha la forma di condizionare lo svolgimento degli altri poteri (l'esempio più banale che suffraga questa interpretazione è il diritto di voto). La forma democratica, in quanto garante di questo potere del popolo è perciò immodificabile, poiché, proprio per questa, ed anzi, per diretta derivazione da questa, vendono riconosciuti i diritti inviolabili ed inalienabili della persona umana (art. 2 Cost.). "La sovranità appartiene al popolo, ma questo non è scevro da vincoli in quanto l'esercizio della sovranità deve rispettare "forme e limiti" della Costituzione (art. 1, 2° co, Cost.). L'azione del popolo sarà legittima se, e solo se, è in sintonia con quei principi che sono confluiti nella Costituzione, che dichiara la sovranità proprio in questo senso, mentre la Costituzione trova il suo legittimo fondamento in quanto scaturisce dalla volontà del Costituente, il quale è legittimato, a sua volta, perché scaturisce il suo potere direttamente dall'investitura popolare. Quindi, a rigor di logica, si evince che il popolo stesso si è dichiarato sovrano nei limiti che esso stesso si imposti, facendoli confluire nella Carta fondamentale e sospendendola sopra di sé come valore supremo per la realizzazione del quale questi si impegna. |
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