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venerdì 25 novembre 2022

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Nel bel mezzo di una grande abbondanza i nostri leader promuovono la deprivazione. Ci viene detto che l’assistenza sanitaria nazionale è insostenibile, mentre letti d’ospedale sono vuoti. Ci viene detto che non possiamo permetterci di assumere più insegnanti, quando molti docenti sono disoccupati. E ci viene detto che non possiamo permetterci mense scolastiche, quando il cibo in eccesso viene sprecato.

Quando persone e capitale fisico sono impiegati in maniera produttiva, la spesa pubblica che distoglie quelle risorse per utilizzarle in impieghi alternativi obbliga a una scelta. Per esempio, se migliaia di giovani uomini e donne venissero arruolati nelle forze armate, il Paese otterrebbe il beneficio di una maggiore capacità militare. Però, se i nuovi soldati fossero costruttori edili, il Paese potrebbe soffrire la carenza di nuove abitazioni. Questo trade-off potrebbe ridurre il benessere generale del Paese se gli Americani dessero un maggior valore a nuove abitazioni rispetto a una maggiore protezione militare. Se, invece, il nuovo personale militare non venisse da costruttori edili ma da persone disoccupate, non ci sarebbe alcun trade-off. Il costo reale di arruolare costruttori edili nel servizio militare è alto; il costo reale di impiegare disoccupati è trascurabile.

L’essenza stessa del processo politico sta nel fare i conti con i compromessi che inevitabilmente affrontiamo in un mondo fatto di risorse limitate e desideri illimitati. L’idea che le persone possano migliorare le proprie vite deprivandosi di beni e servizi non essenziali contraddice sia il senso comune sia qualsiasi teoria economica credibile. Quando ci sono tante risorse non impiegate quante ve ne sono oggi negli Stati Uniti, i costi di questo trade-off sono spesso minimi, eppure considerati erroneamente insostenibili.

Quando un rappresentante del Congresso riesamina una lista di proposte di legge, oggi come oggi ne valuta la sostenibilità in base al livello di introiti fiscali che il Governo federale vuole ottenere, sia attraverso le tasse sia con tagli alla spesa. I soldi sono considerati una risorsa economica. I punti focali della politica fiscale sono stati il deficit fiscale e il debito federale, non i costi e i benefici economici reali. Prevale l’opinione della spesa federale sconsiderata, disastrosa e irresponsabile semplicemente perché fa aumentare il deficit.

Gruppi d’interesse di entrambi gli schieramenti politici si sono uniti nuovamente condividendo vari piani progettati per ridurre il deficit. L’opinione popolare dà per scontato che un bilancio in pareggio produca benefici economici netti, secondi solo a quelli che si otterrebbero ripagando il debito. L’amministrazione Clinton rivendica il livello minimo del deficit raggiunto nel 1994 come uno dei suoi risultati più eclatanti. Tutti i nuovi programmi devono essere finanziati o tramite tassazione o mediante tagli alla spesa. Il pareggio è diventato sinonimo di responsabilità fiscale.

Sia le colombe sia i falchi del deficit che discutono sulle conseguenze della politica fiscale accettano l’interpretazione tradizionale riguardo all’indebitamento federale. Entrambi gli schieramenti accettano la premessa secondo cui il Governo federale prende in prestito denaro per finanziare le spese. Si differenziano solo nell’analisi degli effetti del deficit. Per esempio, le colombe potrebbero sostenere che poiché il budget non distingue tra investimenti di capitale e spese per consumi, il deficit è sovrastimato. O che, considerato che ci stiamo indebitando soprattutto con noi stessi, è l’onere che ne deriva ad essere sovrastimato. Ma anche se coloro che sono responsabili delle decisioni politiche sono convinti che il deficit corrente è un problema relativamente secondario, la possibilità che una certa iniziativa di politica fiscale possa inavvertitamente provocare un aumento del deficit o che ci indebitiamo verso l’estero pone un alto rischio. Si crede che il deficit federale indebolisca l’integrità finanziaria del Paese.

I responsabili delle decisioni politiche sono stati grossolanamente fuorviati da una conoscenza del funzionamento del sistema fiscale e monetario obsoleta e inapplicabile. Di conseguenza, abbiamo perennemente a che fare con risultati del sistema economico inferiori alle sue potenzialità effettive.

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